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Per una Resistenza della e alla parola. L’eredità di “Bianco e Nero” di Paolo Pietrangeli

Che il 25 aprile non è una ricorrenza, è quasi  divenuto proverbiale; in ogni manifestazione, evento, che si tiene nel giorno della Liberazione, lo ripetiamo, forte a gran voce. E forse è per questo, che sulla Resistenza ora e sempre si affaccia il rischio del mantra reiterato, dello slogan reiteralo, della parola che si svuota del suo significato. Solo medium, mentre il messaggio tramonta, sempre più lontano dall’occhio nudo.


Chi scrive, crede che invece ora più che mai sorga il bisogno di affrancarsi dal medium parola, licenziare la facile ricaduta dello slogan e riaffermare invece forte il sole dall’avvenire.


Perché, dall’altro lato, l’armarsi della parole ha aggredito quel sole, con divisive stoccate, affondi verso l’Antifascismo, raccogliendo bagagli di parole direttamente dal 1925, quando venivano rovesciati sulla folla da Palazzo Venezia.


Per questo, di fronte alla possibilità – certo mai errata – di raccontare i film dell’archivio che hanno affrontato la Resistenza, preme forse ricordare quelle opere che già prima di questa battaglia di parole, piene e vuote, rammentavano che la Resistenza continua anche attraverso il senso critico, lo sguardo, dell’occhio documentario e civile, capace di scovare le manifestazioni, le apparizioni, del volto Bianco e nero.



            Bianco e nero è il titolo dell’analisi cinecritica – dove per critico si intende quel senso di cui sopra – di Paolo Pietrangeli sull’avanzare del Neofascismo dal quasi immediato secondo dopoguerra fino agli anni della Tensione.


Bianchi e neri sono la colorita metafora delle manifestazioni del neofascismo: aggressivo e manifesto, nascosto nei colletti inamidati e doppiopetti, serpeggiante dai palazzi del potere alle botteghe e le strade, straripante nello stragismo e nella violenza dei comizi e delle organizzazioni golpiste.


Il film di Pietrangeli è certo fondamentale per la sua missione di ricerca e ricostruzione, che ne caratterizza valore storico, ma oggi la sua agghiacciante potenza sembra risiedere soprattutto nella lucidità d’analisi, nella militante intenzione di non perdere mai di vista potenza e fertile capacità della documentazione, che osserva, mette in ordine cronologico, intervista e ascolta; le parole di Bianco e Nero sono molte, dai significanti inespugnabili; il reale si mostra, terribile e spaventoso, nelle dichiarazioni delle numerose interviste, nei sottotesti che queste, neanche troppo velatamente, celano.


La natura di paroliere di Pietrangeli lo rese forse, al momento della raccolta documentaria, consapevole nell’indirizzarsi proprio verso i fiumi terribili di parole che si andavano via via accumulandosi nei nastri magnetici. Con Bianco e nero Pientrageli sembra consegnarci uno strumento d’analisi proprio nel monito di non perdere mai di vista la parola, per riaffermare quella pericolosamente vacillante sull’orlo dello svuotamento e per comprendere, leggere l’altra, sempre più pericolosamente rafforzata, uscita, nei quasi cinquant’anni che ci separano dalla pellicola, fuori dal nastro magnetico, per lasciarsi indietro sottotesti malcelati ed avanzare bendichiarata e pericolosa; un invito forse, sicuramente un mezzo, trovato nella forza documentaria del cinema, a scarnificare e resistere.


Gabriele Ragonesi. 23 aprile 2023

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