Le fotografie realizzate per e durante la produzione di un film non sono solo quelle di scena.
A cosa ci riferiamo, in questo contributo? Alle fotografie, scattate da Riccardo Campanelli, allievo di H. Cartier-Bresson, durante i sopralluoghi in Sardegna, nella Baronia, per i set cinematografici del film di Ansano Giannarelli, Sierra Maestra, del 1969 (qui il link al film, visionabile integralmente, qui il link alla scheda di descrizione, e qui il link a un articolo con una nota critica sul film, a cura di Pino Bertelli).
All’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (Aamod) è iniziato il riordino delle carte di questo film. Quando si conservano le carte di una società di produzione cinematografica, in questo caso della Reiac film, ogni film sedimenta un vero e proprio specifico archivio. Per Sierra Maestra si tratta di circa 3 mt. lineari di documenti (escludendo gli elementi filmici, con i loro supporti, e le fotografie).
Alcune fotografie relative a questo film riguardano in parte attori, attrici, foto di scena, ma un cospicuo nucleo di negativi e positivi è stato prodotto durante i sopralluoghi effettuati dalla troupe in diverse località della provincia di Nuoro, tra il 1968 e il 1969. Un vero “tesoro ritrovato”!
Si tratta di 395 negativi su pellicola 35 mm, ai sali d’argento, e 209 positivi, formato 6×9 cm., la cui stampa è per quasi tutti coeva ai negativi (alcuni positivi sono successivi), sviluppati presso il Laboratorio Fotografico Dario TICCA a Dorgali (Nuoro). Le foto sono in corso di descrizione e digitalizzazione, dopo la pulizia e il condizionamento in apposite custodie a norma.
Prima di fornire ulteriori dettagli “tecnico-documentali” e di contesto, ci concediamo il piacere di parlare di questi documenti come opere che suscitano innanzitutto emozioni.
Le fotografie, come anticipato in apertura, sono state realizzate da un fotografo sardo importante, non molto noto: Riccardo Campanelli, che aveva accompagnato, negli anni precedenti, H. Cartier-Bresson in Sardegna!
Alcune sono state realizzate da un’altra componente della troupe, Loredana Dordi, celebre regista di Processo per stupro (1979).
Lo sguardo di “Riccardo”, il cui nome spesso troviamo appuntato sulle buste in cartoncino originali ferraniacolor con all’interno le strisce dei negativi, ci dice molto di lui. Ci racconta innanzitutto la sua empatia per le persone, l’amore per i luoghi, per la storia sociale e antropologica locale. Dalle sue inquadrature ci guardano e salutano bambini sorridenti, curiosi, divertiti, vispi, allegri, insieme a giovani, uomini e donne, anziani, tutti affatto ritrosi, piuttosto aperti, accoglienti, solerti e pronti a collaborare, disponibili alla complicità nella messa in scena con il fotografo, con il regista, con il resto della troupe.
Bambini, giovani, anziani sono colti durante le loro attività, o inattività, in armonia con i paesaggi che abitano, con le strade, gli usci delle case, le finestre, la campagna, le piccole piazze, i borghi, le chiese, i sassi, i cieli sardi. Tanti gli sguardi in macchina che, come sappiamo, hanno il potere di coinvolgere subito chi guarda, dando vita a un dialogo a distanza, in cui il tempo sembra non avere più coordinate lineari. L’incontro è pieno di stupore… per i sorrisi, per i corpi “in movimento” soprattutto dei bambini, per il loro comporsi e disporsi nell’inquadratura, quasi che la messa in scena non fosse solo un’intenzione del fotografo, ma, come abbiamo già scritto, di tutti e in modo naturale. Sappiamo, nell’osservare le loro vesti, le pettinature, le scarpe, gli oggetti, le pose, che siamo in un altro tempo storico, un tempo che al “primo incontro di sguardi” risulta comunque azzerato, perché noi per primi ci ritroviamo lì, con loro, di fronte a loro con le nostre emozioni. Le gonnelline a quadrettini scozzesi delle bambine ci sono famigliari, i calzettoni, i calzoncini corti, i grembiulini, le scoppole degli anziani (anche molti dei nostri nonni, contadini, o minatori, li ricordiamo così, pur se di altre regioni).
Ammiriamo le inquadrature sapienti, in cui il fotografo, pur dando spazio ampio alle architetture del paesaggio umano e naturale, scarne, asciutte, fatte di poche linee e pochi segni, con forme essenziali, inserisce quasi sempre, in primo o secondo piano, l’elemento umano: il profilo di un bambino pensieroso, seduto su un gradino, seminascosto, i volti degli anziani in attesa apparente, i sorrisi di giovani madri, l’austerità delle donne mature. Fotografia umanista, come è stata etichettata, che ci piace e ci consola.
Le foto sono in bianco e nero, eppure immaginiamo le luci che colorano i volumi raccolti e composti in ogni inquadratura. Avvertiamo con gratitudine la sapienza e la tenerezza dello sguardo del fotografo che ci mostra spesso anche i componenti della troupe, quasi mimetizzati tra le persone dei luoghi.
Guardando il film, ci accorgiamo che queste fotografie, pur ad esso legate, raccontano tutta un’altra storia… Solo in alcune sequenze riconosciamo tra la folla che protesta gli abitanti della Sardegna. Una storia ancora più importante, dovendo constatare come la Sardegna, a parte gli ultimi decenni, sia stata poco rappresentata nelle immagini fisse in Italia… O forse, pensando ad altri cineasti, come Antonello Branca, molte fotografie debbono o aspettano solo di riemergere.
Su un blog dedicato alla fotografia, di Barbara Picci, scopriamo che numerosi fotografi, soprattutto stranieri, tra metà Ottocento e nel corso del Novecento, hanno ritratto la Sardegna. Nell’elenco manca Riccardo Campanelli…
Concordiamo dunque solo in parte con la seguente riflessione, tratta dalla presentazione di una mostra fotografica di Riccardo Campanelli, del 1984, che trovate sul sito dell’Istituto etnografico della Sardegna, consultabile a questo link:
“Capita spesso di pensare, con rammarico, a quanto poco la Sardegna sia stata rappresentata in immagine. Il motivo di questo fenomeno è iscritto nella sua storia, di necessaria chiusura verso l’esterno in difesa dalle ondate successive di aggressioni e nella concentrazione sulla sopravvivenza.
E tuttavia, anche ai “conquistatori” e ai successivi visitatori pacifici, ai viaggiatori, l’isola sembra aver imposto la rinuncia, o quasi, al registro iconologico.
Quasi che una resistenza allo sguardo, una sorta di irrappresentabilità, costituisca ancor oggi uno dei valori simbolici ed uno dei misteri più affascinanti che l’isola porta con se.
[…] della Sardegna sono originari alcuni dei più grandi fotografi italiani, i quali, però, fuori dall’isola hanno espresso il massimo delle loro capacità.
Oggi, una nuova generazione di fotografi sardi ha però messo mano all’impresa di lavorare a un repertorio iconografico che finalmente risponda alle infinite e splendide realtà umane e naturali dell’isola.
Uno di questi, e tra i migliori, è certamente Riccardo Campanelli. Erede della migliore tradizione dei fotografi sardi, allievo di quel grande creatore di immagini che è ancor oggi Cartier-Bresson […]”Eccole, a seguire, alcune foto di Cartier-Bresson in Sardegna…
In principio, come già scritto in altra occasione, c’è l’innamoramento, poi il bagaglio di riflessioni che ne deriva (ricordando la Piccola storia della fotografia di Walter Benjamin – qui il pdf gratuito -), La camera chiara di Roland Barthes – qui il pdf gratuito -, Sulla fotografia di Susan Sontag … ). Quindi la ricostruzione dei contesti e la “collocazione” nell’archivio, ricostruito anch’esso grazie alla convergenza di discipline diverse (passando per le lucide analisi di Adolfo Mignemi, per le elaborazioni teoriche di Tiziana Serena, … si potrebbe continuare a citare, citare… ).
La rappresentazione dei contesti storici della Sardegna nella cinematografia e nella fotografia neorealista (pre e post) ci porta ancora a segnalare immagini e alcuni sguardi diversi su questi stessi luoghi, con i loro differenti riusi e intenzionalità. Sappiamo che le finalità delle rappresentazioni e gli immaginari che creano variano a seconda delle committenze, degli obiettivi, degli autori e dei loro soggetti ritratti, nonché dei fruitori, diversi nel tempo. Si tratta di messe in scena che cambiano a seconda del periodo storico, politico, sociale, della stessa politica culturale dei mass media in una data epoca.
I luoghi della Sardegna documentati tra il 1968 e il 1969 dalle foto di Riccardo Campanelli e Loredana Dordi sono quelli della Baronia, le località soprattutto di Loculi, Desulo, Orani, Orosei, Orgosolo, la provincia di Nuoro. Località, in particolare Loculi, raccontate dieci anni prima, nel 1959, da un altro fotografo, Carlo Bavagnoli.
Carlo Bavagnoli arrivò in Sardegna nel 1959 insieme a Livio Zanetti [e altri giornalisti], redattori dell’Espresso. Dalle testimonianze da loro raccolte trassero un reportage che venne pubblicato poi sul periodico, sulla spinta della recente commissione parlamentare che aveva documentato la povertà del Meridione. (Cinzia Robbiano, Sardegna 1959. L’Africa in casa di Carlo Bavagnoli ).
Si veda il saggio pubblicato su Studi Storici, di Salvatore Mura, L’INCHIESTA PARLAMENTARE SULLA MISERIA. IL CASO DELLA SARDEGNA, ANNO 60 2019 N. 2, pp. 387-415 .
A questo link il pdf del numero de L’Espresso citato
Come non pensare alle straordinarie fotografie della Basilicata di Franco Pinna che in quegli anni, con Ernesto De Martino, voleva riscoprire il Sud e i suoi tratti identitari arcaici?
Confrontare le fotografie di Bavagnoli, riproposte ed esposte in una mostra recente a Loculi, con quelle successive di Campanelli porterebbe a constatare non solo la differenza di sguardi documentari in due periodi storici diversi. Non sfuggirebbero infatti i condizionamenti dettati da differenti obiettivi. Se gli interni documentati da Bavagnoli sottolineano le misere condizioni umane e le pose rassegnate degli abitanti, gli esterni di Campanelli appaiono ariosi, Si percepisce la sua espressività libera da committenze pubbliche e private (era amico di Ansano Giannarelli, che compare spesso nelle sue fotografie, mimetizzato tra la gente), libero di scegliere, cogliere e mostrare la tenerezza, l’allegria, l’apparente tranquillità della gente anziana, che posa senza nascondersi, dimostrando complicità e partecipazione al gioco del fotografo e della troupe stessa.
Finora abbiamo parlato delle fotografie che ritraggono soprattutto le persone. Sembra quasi che Campanelli, invece di documentare i territori ai fini della scelta dei set cinematografici per il film Sierra Maestra, si sia dedicato a documentare la vita, “l’umanesimo” delle persone che quei luoghi abitano (si sente appunto forte la lezione di Cartier-Bresson). In realtà in questo “piccolo” e prezioso giacimento sono presenti anche numerose fotografie del paesaggio naturale e urbano delle citate località sarde e dei loro dintorni. Altre immagini ritraggono inoltre la troupe al lavoro proprio durante le riprese dei luoghi, lo studio delle luci di un paesaggio piuttosto che un altro.
L’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico sarebbe ben lieto di poter organizzare un’altra mostra in Sardegna, con l’aiuto degli enti locali, che possa valorizzazione anche l’opera inedita di Riccardo Campanelli. L’iniziativa potrebbe allargarsi anche a un altro piccolo gruppo di fotografie del regista Antonello Branca, di origini sarde, che ha ritratto luoghi, persone, attività della Sardegna negli anni sessanta del Novecento, con uno sguardo che ci restituisce una visione ancor più inedita di questa regione in quegli anni.
La sezione fotografica dell’archivio Branca deve essere recuperata, ma ci stiamo preparando.
La digitalizzazione delle foto di Campanelli, a cura di Pietro Rubini, è stata effettuata ad alta risoluzione in formato tiff e a bassa in jpeg. Le fotografie sono in corso di descrizione su xDams, modello scheda Iccd, F 4.0, “rivisitata”, insieme al partner tecnologico Regesta.exe, secondo criteri di organizzazione archivistici (con l’individuazione e la restituzione delle serie e delle sottoserie, all’interno del Fondo Reiac – sezione Fotografie). Inoltre con il collegamento diretto alla scheda di descrizione del film. Il piccolo tesoro sarà presto consultabile on line sul sito dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico.
Vogliamo infine proporre una riflessione sul fatto che la Sardegna sia stata invece molto raccontata nel cinema documentario, in inchieste e film di propaganda, soprattutto dal secondo dopoguerra in poi, da registi e operatori che hanno lavorato per la Rai, per l’Archivio Luce, per la Unitelefilm, naturalmente con punti di vista differenti. Una rassegna cinematografica sulla Sardegna dalla ricostruzione agli anni settanta del Novecento, svelerebbe percorsi e sviluppi storico-economici e sociali in parte inediti e differenti rispetto a quelli nazionali.
Nel 1955, un documentario della Rai, la neonata televisione pubblica italiana, rappresenta un singolare Viaggio in Sardegna:
“Siamo nel 1955 e un gruppo di intellettuali, su richiesta del Centro Democratico di Cultura e Documentazione viene guidato dal giovane giornalista sardo Tito Stagno per un breve viaggio in Sardegna. Immagini bellissime di una regione italiana allora ancora per molti tratti sconosciuta, percorsa in pullman da Giuseppe Ungaretti, Giorgio Caproni, Carlo Bo, Domenico Rea, Leone Piccioni, Ornella Sobrero, Giulio Cattaneo, Giacomo Antonini ed altri. Molte le tappe, tra cui Oliena, Cagliari, le città Minerarie, la zona del Flumendosa, Orgosolo, durante le quali gli stessi prestigiosi viaggiatori pongono domande alle persone incontrate sulle usanze, sulla vita quotidiana, sulle difficoltà di vivere in una zona ancora depressa.”
Così recita la sinossi sul sito di Rai Teche, a questo link, dove è possibile visionare il film, che trovate anche su Rai play e su YouTube. Il film documenta, tra l’altro, una emigrazione a rovescio, dal Friuli Venezia Giulia in Sardegna, per ricevere e coltivare terre nell’isola, ma anche da Napoli, Torre del Greco, per la raccolta del corallo.
A distanza di otto anni, è realizzata un’altra inchiesta a puntate dalla Rai, Sardegna un itinerario nel tempo, di Giuseppe Dessì, del 1963, visionabile su YouTube, a questo link.
Attualità di cinegiornali e documentari che raccontano in modo spesso olografico e retorico, con l’occhio del governo, la Sardegna degli anni sessanta si trovano sul sito dell’archivio Luce. Vi segnaliamo Sardegna ed emancipazione femminile, del 1963, interessante anche per come questo tema venga trattato nel film.
Numerosi sono i film documentari di militanza e d’inchiesta sulle condizioni della Sardegna prima, durante e subito dopo il boom economico, che potete trovare sul sito dell’Aamod, liberamente consultabili. Tra i tanti on line segnaliamo il bellissimo Vivere qui, regia di Mario Carbone e Ignazio Delogu, del 1969
L’Aamod ha anche acquisito il fondo del giovane regista sardo Giuseppe Casu (a questo link una nota biografica), impegnato da tempo nella documentazione e nella realizzazione di film sulle attuali problematiche sociali, ambientali, nonché su quelle storiche ed economiche della Sardegna. Il suo fondo è stato riordinato da Michela Di Meglio e si può consultare a questo link.
Il più vasto giacimento di documentari e audiovisivi di studio, istruzione, inchiesta sulla Sardegna, è custodito presso la Cineteca Sarda. Negli ultimi anni la Cineteca ha anche raccolto, in una vasta campagna, migliaia di film amatoriali e di famiglia e, auspichiamo, altrettante fotografie private. E’ recente anche la riscoperta, il restauro, a cura della Cineteca, di un importante film del cineasta sardo Fiorenzo Serra, distribuito dalle edizioni Il Maestrale con volume di studi allegato:
50 anni fa, nel 1966, Fiorenzo Serra consegnava agli uffici della Regione sarda la copia del suo film documentario, L’ultimo pugno di terra, che chiudeva un complesso lavoro che iniziò nel 1959, quando il regista invitò la Regione Autonoma della Sardegna, con una lettera datata 16 luglio, ad investire nella realizzazione di un film a lungo metraggio sui problemi e sugli aspetti della Rinascita della Sardegna… (Antonello Zanda, 2016)
Si tratta di documentari (impossibile citarli tutti) che mostrano punti di vista differenti sulla storia sociale ed economica dell’isola, sui problemi della sua “ricostruzione” nell’ottica della storia economica nazionale del secondo dopoguerra. Fonti che gli storici contemporaneisti potrebbero/dovrebbero usare come documenti imprescindibili per lo studio e il racconto della ricostruzione in Italia, della riforma agraria, delle grandi opere della Cassa per il Mezzogiorno…
Si distingue, tra tutti, il ben noto film di Vittorio De Seta, Banditi a Orgosolo, del 1961, apripista del cinema, oltre d’inchiesta, del realismo asciutto e poetico al tempo stesso, evoluzione di un neorealismo che già nei primi anni sessanta sfatava l’incanto di un miracolo economico così lontano dalle storie di tante terre soprattutto del Sud d’Italia.
Fotografie e cinema… quanti percorsi didattici potrebbero essere realizzati nelle scuole non solo dei territori della Sardegna! Qui si potrebbero riproporre una mostra e una rassegna cinematografica per continuare a restituire questi patrimoni, grazie a progetti di valorizzazione mirati nei territori, con iniziative di public history. Si potrebbero inoltre organizzare laboratori didattici nelle scuole, coinvolgendo le famiglie e le loro memorie private. Rinviamo ad altra sede e ad un eventuale altro contributo alcune proposte di formazione a partire da questi preziosi materiali, auspicando il coinvolgimento, la promozione e il sostegno di enti ed istituzioni locali. Il lavoro negli archivi, soprattutto di immagini, come noto, richiede tante risorse, a tutto campo…
Letizia Cortini
(Responsabile formazione e trattamento scientifico del patrimonio AAMOD)
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