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Carlo Di Carlo, Primo Piano. Personaggi e problemi dell’Italia di oggi: Pier Paolo Pasolini, 1967, di e per Pasolini, parla Pier Paolo

Il 5 marzo 1922 nasceva Pier Paolo Pasolini. Quando queste righe sono scritte, sono passati sette giorni dal centenario: sette giorni in cui la voce pasoliniana è tornata con tutta la sua disperata vitalità a rimbalzare per l’intera Penisola attraverso rassegne, omaggi, ricordi, contributi. Sette giorni di una rinnovata eco che, dall’idroscalo di Ostia, dove si è spenta nel 1975, continuerà sicuramente a riverberare per tutto l’anno e oltre.

In questa prima settimana di ricorrenza è emersa, in tal senso, l’eccezionalità di quest’eco: certo, di Pasolini e per Pasolini, come tutti i grandi autori, parlano le sue poesie, i suoi romanzi, i suoi film, la sua attività corsara; anche troppo ha parlato per lui negli anni la letteratura attorno a questa massiccia produzione, in aggiunta alla – spesso superflua, parziale e in fin dei conti sterile – dietrologia sconfinante nella speculazione attorno alla sua morte violenta. Prima di tutto, per Pasolini ha sempre parlato Pasolini. Accanto alla carica “profetica” della sua voce (che sembra essere quella preferita dalla narrativa a cui si accennava) è sempre rimasta quella polemica e scandalosa, diretta, contraddittoria, complessa. Pier Paolo Pasolini non è mai stato un poeta in ombra, nascosto tra le pagine dei suoi libri o dietro ai fotogrammi dei suoi film, ma si è raccontato, dichiarato e manifestato, per tutta la sua vita. Anche in queste poche frasi, senza farlo apposta, si finisce con il descriverlo con le sue parole, con tutti gli aggettivi, i significati e significanti che appartengono al suo campo lessicale. Il nostro ricordo di Pasolini brucia allora anche e soprattutto proprio per la voce che vorremmo ancora forte e disperata. Poco ci è importato, forse, in questa prima settimana, di ricordarne l’aura di profezia a suon di “aveva ragione”, quanto invece di ritrovarne il piglio, la forza, che sì permea gli Accattone e Porcile passati di nuovo per gli schermi d’Italia, ma che soprattutto sibila nel suo emiliano bagnato dalla cadenza friulana, dolce e flebile, capace delle parole più imperiose, che torna a scuotere cinema, teatri, piazze, strade, città.

È allora forse questo il motivo della piccola fortuna che sta avendo in questi giorni il ritratto che ha fatto di Pasolini Carlo Di Carlo nel 1967. Pensato da Di Carlo come primo capitolo di una galleria di profili significativi attraverso i quali raccontare il Paese negli anni Sessanta, il progetto di Di Carlo non è andato in porto e non sappiamo come si sarebbero sviluppati gli altri episodi e quali figure avrebbero toccato. Resta di questo Primo piano la potenza dirompente del soggetto immortalato: il film, cosa tra l’altro incredibile per un prodotto destinato alla Tv del ’67 e che evidenzia una sensibilità notevole della regia di Di Carlo (sia stato questo uno dei motivi della mancata messa in onda?), non si accascia mai suoi binari ‘sicuri’ della videointervista, ma, a conferma di quanto ricordato finora, lascia che la voce si racconti. Nei venti minuti in cui si srotola il film, si consuma tutta la semantica dell’uomo Pier Paolo Pasolini: malgrado esordisca dicendo che «la storia della mia vita è la storia dei miei libri», da subito l’intellettuale innesca la polemica, raccontando quella storia fatta sin dall’inizio di censure, di un’Italia prima fascista, tale da non accettare il primo Poesie a Casarsa scritto in dialetto, poi piccolo borghese, con le lance dell’accusa armate contro le oscenità di Ragazzi di vita, fino al primo processo, sottolinea Pasolini, «trionfalmente vinto». È proprio questa la voce di Pasolini che riconosciamo, che lo rende insieme personaggio e problema specchio della Nazione del titolo, e qui soggiace anche tutta la complessità della voce pasoliniana: l’autore di Poesie a Casarsa e Ragazzi di vita in quel 1967 già sa di essere personaggio e problema. Lo sa sia da dietro alla macchina da presa, quando gira i suoi film, sia soprattutto quando è davanti. La macchina di Di Carlo – certo, sicuramente più abile di quanto non lo siano quelle fisse e stantie degli operatori dietro ai salotti televisivi – adora Pasolini. Più che dei primi, dedica a lui primissimi piani, ritraendo lo sguardo acuto dietro le lenti spesse o la sinuosità delle sue dita che strette attorno alle costole dei libri o tese sopra i cuscini del divano. Malgrado lo slancio all’inclinazione narcisistica e il pericolo verso il culto e il divismo di sé (e se parliamo ancora di “profeta”) che questa semantica ha contribuito, consapevolmente o meno, ad alimentare la voce di Pasolini rimane sempre quella immediatamente familiare dell’“emiliano dalla dolce e flebile cadenza friulana capace delle parole più imperiose”, mai macchiata dalla mondanità in cui potrebbe quasi naturalmente sconfinare. Pur conscio della carica già disperata del proprio sistema di segni, davanti alla successiva camera, al successivo regista, giornalista, intervistatore, che sia lui stesso o altri, Pasolini non abiura sé stesso, al massimo i suoi film, dinanzi al suo sguardo che muta nei confronti del reale. Anche a Di Carlo arriva da solo, senza che il regista ce lo conduca, a condensare in poche frasi al centro del suo autoracconto quel frantumarsi del Sogno di una cosa che in quel preciso 1967 sta vivendo e che si riversa nella sua poetica, nel corvo marxista divorato da Totò e Ninetto Davoli nell’Uccellacci e uccellini che ha appena concluso.

Da lì, la voce di Pasolini ha attraversato il Sessantotto, poi il disastro dell’inurbamento, l’omologazione culturale, i Romanzi delle stragi, il salotto dei Signori di Salò; in fondo, l’idroscalo, un secolo di vita, sette e più giorni di celebrazioni.

« Chi vivrà vedrà » saluta proverbialmente la voce a conclusione dell’intervista. Se non abbia mai smesso di vedere e sia stata davvero profetica non sappiamo dirlo. Probabilmente sì, con buona pace di ognuno. Sicuramente, ha continuato a farsi sentire, a soffiare, soverchiandoli, tra i versi di Poesia in forma di rosa che nel 1967 già leggeva, prima che il film di Carlo Di Carlo si chiudesse. D’altronde, erano i suoi.

Gabriele Ragonesi, Roma 15 marzo 2022

Primo piano. Pier Paolo Pasolini sul catalogo Aamod: la scheda del film.

Il film è visionabile sul canale youtube dell’archivio:

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