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Almeno quindici definizioni di cinema. L’addio a Jean-Luc Godard fra le immagini dell’Archivio, di Gabriele Ragonesi

Da ieri, tra i tanti ricordi che invadono regolarmente il web ad ogni scomparsa di un più o meno famoso, più o meno grande, a chi scrive è capitato di leggere: “Oggi muore il cinema”.
L’epitaffio, che imperava su un post Facebook, non era neanche accompagnato da un ritratto di Jean-Luc Godard, ma solo dal fresco profilo di Jean-Paul Belmondo in Á bout de souffle, quando entra per la prima volta in macchina, nell’iconica camminata al fianco di Jean Seberg sugli Champs-Élysées («New York Herald Tribune!»…)
Perché forse davvero Godard più di altri è stato prima di tutto il suo cinema, e per un’iperbole che troviamo mai come in questo caso concessa, del Cinema tutto: fin dagli sguardi in macchina di quell’ultimo respiro, passando per il minuto di silenzio condiviso in Bande à part e per Anna Karina che avanza inesorabile nella sua prima filmografia, fra i quadri di Vivre sa vie e i colori di Une femme est une femme e Pierrot le fou, girando attorno al maggio francese e alle sue Chinoise, Godard è stato artefice e mano di una rinnovata grammatica cinematografica, uno degli sguardi rivoluzionari dell’occhio del Novecento, questo stesso Secolo che con la sua scomparsa ci ricorda come sia clamorosamente finito, devastato e soppiantato da questo nostro nuovo cannibalico millennio. E malgrado il suo essere un demiurgo del passato, Godard non si è mai rassegnato a divenire reliquia, continuando ad afferrare dietro le sue lenti spesse gli schizofrenici ritmi e le immagini di un tempo che sembra non permettersi di essere mai presente o mai futuro, sfogliandone la risma di pagine come il suo ultimo Livre d’image e accettandone lo sgretolarsi, il disperdersi, il distendersi in uno spazio senza più coordinate, del linguaggio, dedicandogli un Addio.
Al netto di qualsiasi giudizio critico e/o di qualità su questi e altri suoi ultimi titoli da regista, la lista – già così lunghissima e pure solo una piccola parte della sua gigantesca produzione – dimostra come la camera sulla spalla di Godard non abbia mai smesso di essere militante, prima abbracciando le fedi del suo regista e poi condensandosi e involvendosi nell’idea stessa dell’azione-cinema, sintetizzando la simbiosi fra regia-realtà-militanza-politica.
            Consapevoli quindi che il continuo mutare delle sue pellicole non è mai stato comun denominatore di un impegno invece immutabile e costante, lo ricordiamo qui con le sue immagini contenute in Archivio, proprio a partire da quei momenti del maggio Sessantotto, al grido di prenez une camera e descendez dans la rue, un invito, quasi un manifesto per tutta la produzione di cineamatori e cineasti che compone la costellazione dell’Archivio, un fluire di una generazione ancora ininterrotta che continua ad immergersi e a sprofondare in strade, piazze, realtà.
Jean-Luc Godard impera nelle immagini dell’Archivio non solo con l’occhio affondato nella cinepresa sugli stessi Champs-Élysées già teatro del suo esordio assieme a Belmondo che ricordavamo sopra (anche i luoghi ritornano sempre, nella Godardiana dialettica inscindibile tra cinema e fare-cinema), ma soprattutto al centro del mitologico controfestival veneziano, originato in parte anche dalla contestazione del Sessantotto che dagli animati furori francesi era giunta anche sulle sponde del Lido: le Giornate del Cinema Italiano del 1972, dove il regista francese approdò assieme a Jean-Pierre Gorin, dopo il ritiro dalla mostra di Tout va bien.
Nella sala di Campo Santa Margherita, come un sacerdote del tempio del nuovo fare-cinema, Godard declamava: «In questa sala ci sono almeno quindici definizioni di cinema: la definizione della polizia, del Pc, dell’anarchia, […] e la definizione degli spettatori: quelli che vanno al cinema e quelli che non ci vanno».

A questo link il video montato da Milena Fiore, su Facebook. Seguono alcuni fotogrammi…

Forse allora possiamo permetterci di dislocare dai binari il tombale epitaffio: sì, con la scomparsa di Jean-Luc Godard è forse morto un certo tipo di cinema. Non è defunta, crediamo, un’ulteriore definizione in aggiunta a tutte quelle elencate nella sala delle Giornate; quella dell’equazione Godard-cinema, del fare, fare e militare, fare e dirigere, e non morire mai.

Gabriele Ragonesi. 14 settembre 2022.

Immagini da:
Le chienlit (Luigi Perelli, 1970)
Giornate del cinema italiano Venezia 1972

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