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Una Cento Mille Al Ard!

Per combattere la paura di essere liberi.

Bisogna lottare attraverso il cinema, confidando nella capacità dello sguardo cinematografico di andare oltre l’invalicabile muro delle menzogne e rompere il cinico meccanismo che pervade ormai tutte le forme di rappresentazione. Uno sguardo in controluce, sopravvissuto, umano, che lotta per esistere.


Questo è Al Ard Film Festival, a dimostrazione che il cinema può supportare la libertà di guardare al mondo in modo differente, a partire da un circuito alternativo dove “i modi della distribuzione coincidono con i modi della lotta”.


Continuando a parafrasare Cesare Zavattini, il cinema che ho avuto la fortuna di vedere ad Al Ard Film Festival, a Cagliari dal 21 al 24 febbraio, è un cinema libero nel ritmo, nel fine e anche nell’imprevisto. Un cinema che diventa azione “nel senso che prendiamo la macchina da presa in mano come l’ultima arma”, come per il bambino armato di videocamera di We will remain. Un cinema continuo e quotidiano, come nel film In the Shadow of Beirut, che descrive la dura concretezza del “giorno per giorno”, riuscendo, zavattinianamente, a “trasformare nel più breve tempo possibile questo tempo genericamente morale in un tempo politico”.


foto di Marianna Lembo

Come ha scritto Samed Ismail, dell’Associazione Amicizia Sardegna Palestina, nel suo contributo al catalogo, il Festival ha un “senso profondamente politico che investe la cultura, al contrario di quanto accade in molti luoghi dove la cultura è intesa sempre più come merce di consumo e produttrice di valore esclusivamente economico.”


Anche se è passato un po’ di tempo, continuano a risuonarmi dentro le immagini e le suggestioni che ho provato ad Al Ard (La terra o Sa Tera come direbbero in Sardegna), il festival dedicato al cinema palestinese e del mondo arabo fondato vent’anni fa.


È un cinema che fa parte di quella famiglia culturale del cinema politico, che ha riguardato anche tanti movimenti di liberazione anticoloniali, dall’Algeria al Vietnam a Cuba, di cui all’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (AAMOD) conserviamo parte della memoria audiovisiva; film arrivati a noi dalle proiezioni nei campi profughi, nei villaggi, nelle città e fra i guerriglieri, poi circolati attraverso festival cinematografici arabi e internazionali e proiettati da attivisti e associazioni di mezzo mondo. Un lavoro di raccolta e promozione che continua anche oggi grazie a Monica Maurer, regista da sempre impegnata nell’attività dell’AAMOD e tra le fondatrici di Al Ard Film Festival. Un lavoro di conservazione e tutela oggi ancora più necessario e prezioso di fronte alle distruzioni e al massacro in corso.


foto di Marianna Lembo

Quest’anno, come ha scritto nell’introduzione al catalogo la condirettrice artistica del festival, Anna Maria Brancato, “gli attacchi israeliani a Gaza hanno infatti distrutto non solo le infrastrutture comunicative, ma anche gli archivi personali o delle produzioni che non potevano più accedere al materiale raccolto in anni di lavoro. Più di un regista ci ha comunicato l’impossibilità di partecipare o di poter inviare il materiale per tempo, proprio per questo motivo. La tensione costante nell’area ha spinto molti documentaristi ad affiancare i giornalisti, affinché nel il mondo potesse essere testimone in diretta di quanto sta avvenendo. Spesso rimettendoci la propria vita”.


Proprio per dare un segno di vicinanza nel vivo di quanto sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania, il Festival ha deciso di rendere omaggio a tutte le giornaliste e a tutti i giornalisti e videomaker che stanno testimoniando con le loro immagini gli orrori dell’aggressione israeliana, anche a costo di perdere la vita, consegnando una targa alla giornalista palestinese Hanaa Mahameed.


Zavattiniani, nell’ambito del Festival, anche il coinvolgimento e la formazione attraverso il cinema di tanti studenti e studentesse attraverso il workshop “Palestina in cattedra”, volto a far conoscere quello che vivono i ragazzi e le ragazze della Palestina, i cui sogni sono semplicemente di vivere, andare a scuola, crescere giorno per giorno, luogo per luogo.


Tutto il Festival ha dato un contributo importante alla conoscenza della realtà palestinese e più in generale del mondo arabo, contrastando pregiudizi e stereotipi “geniocidi” (come direbbe Alessandro Bergonzoni) e restituendo la ricchezza e la complessità proprie di culture antichissime come, appunto, quella palestinese e quella araba. Un esempio in questo senso è il film Lyd, la storia di una città fondata 5000 anni fa e sopravvissuta per millenni, fino al 1948, quando è stato fondato lo Stato di Israele.  


Tra gli altri film che ho potuto vedere, Little Sahara e Uncle, Give Me a Cigarette, entrambi film di animazione realizzati con la partecipazione delle bambine e dei bambini, oggi target militari già colpiti a migliaia (mentre gli studenti solidali coi loro coetanei palestinesi vengono manganellati), a conferma della forza espressiva di questi “piccoli adulti”.


Tanti i film visti in quei giorni, ognuno con una sua modalità di visione, con un suo preciso percorso mediale, ma tutti con lo sguardo rivolto a un punto luce in cui non è possibile arrestare la vita dell’umanità.


Una Cento Mille Al Ard!


Milena Fiore

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